La rinascita di Napoli: l’anno che ha cambiato tutto
Il decennio attuale rappresenta, per l’intero Occidente, un momento difficile. La crisi greca, la crisi italiana, la rinascita dei nuovi sovranismi, la crisi climatica e la pandemia hanno portato ad una consapevolezza di vulnerabilità simile a quella della Seconda Guerra Mondiale. Il sistema a cui ci siamo affidati per anni e che abbiamo delegato per il nostro benessere ha mostrato tutti i suoi limiti, generando uno stato di inquietudine. La situazione è resa ancor più difficile dall’incertezza che accompagna ogni previsione, anche a breve termine. Tuttavia, dopo ogni periodo difficile, la storia ci insegna che arriva il momento della ripresa del benessere.
Una rivoluzione culturale potrebbe rappresentare la via per un nuovo rinascimento che ci porti fuori dalle acque inquinate della globalizzazione capitalista. Questa nuova rivoluzione non dovrebbe essere violenta e non dovrebbe rovesciare i regimi esistenti, ma piuttosto dovrebbe portare ad un risveglio di una coscienza sociale e ad un rinnovato sentimento di ricerca di valori autentici come la cultura, l’arte, l’ambientalismo e la giustizia sociale.
Questo tipo di cambiamento non dovrebbe essere guidato dalla politica che ha perso la sua funzione di guida della società, ma piuttosto da una nuova coscienza sociale. Un nuovo rinascimento potrebbe rappresentare la via per progettare un nuovo mondo per tutti. L’esperienza di Napoli negli anni ’80 può essere un esempio di come un popolo intero abbia trovato il modo di uscire da un incubo collettivo e riprogettare la propria felicità. Questa esperienza fa ben sperare nel futuro e ci dà la speranza di poter uscire dalla crisi in un modo migliore per tutti, non solo per pochi.
Il 1978 è stato un anno impensabile per ogni napoletano ignaro. Vivevamo tutti all’interno di una bolla costruita ad arte dalla narrazione politica e mai avremmo osato chiedere tanto. La vita sembrava ostile e le Brigate Rosse riuscivano ad infliggere colpi allo Stato che portavano ad un orizzonte precario per tutti.
Da tempo ormai si viveva abbastanza male e l’effetto del colera del ’73 si era riversato su Napoli in modo devastante. Nonostante il colera non abbia fatto molti danni di per sé, la percezione e la narrazione che circondava il resto dell’Italia erano una catastrofe per Napoli. Negli stadi del nord, la squadra partenopea veniva accolta con striscioni con la scritta “Napoli colera” e il sentire comune di molti di noi era passato dalla frustrazione alla rassegnazione, quasi a mortificarci per quello che ci era successo 5 anni prima. Ma i problemi di Napoli erano cominciati ancora prima.
Nel 1969 San Gennaro era stato declassato a santo di serie B e nonostante l’ironia proverbiale dei napoletani con il famoso “San Gennà futtatènne”, quel declassamento fu vissuto come un colpo basso da tutti i napoletani. Totò, l’ultima bandiera di Napoli, era morto nel 1967 e ormai Napoli si sentiva orfana e non più amata.
Ma in quell’anno gli astri si allinearono nella più favorevole delle congiunzioni e finalmente Napoli avrebbe potuto avviare la sua rinascita.
A giugno, a fare da raccattapalle per quella scandalosa Argentina che vinse i mondiali, c’era un ragazzino di appena 17 anni. In Argentina, tutti lo consideravano il nuovo Sivori, ma Diego, questo il suo nome, era appena sceso sulla terra per deliziare gli amanti del calcio di tutto il mondo.
Poi anche un altro scugnizzo, questa volta non dei barrios di Buonos Aires, ma dei quartieri spagnoli di Napoli, si mostrò al mondo con le sue canzoni memorabili, raccolte in un album dal nome profetico: Terra mia. In effetti, l’album era uscito in autunno del ’77, ma i pezzi più famosi dell’album furono la colonna sonora delle radio libere napoletane del 78. “Napul’è” e “Na tazzulella e cafè” fecero conoscere questo assoluto talento di nome Pino.
Lo stesso anno, su Rai Due, un programma fantastico di cabaret (Non stop, per chi lo ricordasse ancora), affianco ai giovani emergenti Carlo Verdone e Francesco Nuti, presentò all’Italia intera un ragazzo di San Giorgio a Cremano dal talento geniale, Massimo, che con il gruppo chiamato la Smorfia incantò l’intero Paese.
Diego, Pino e Massimo quell’anno non sapevano che avrebbero cambiato per sempre la percezione di Napoli e, meno che mai, di essere proprio loro l’innesco di un nuovo rinascimento napoletano.
Ma la nemesi sembrava essere sempre in agguato per questi tre grandi cuori di Napoli. Infatti, tutti e tre sono morti giovani di infarto, come se i loro cuori avessero avuto la forza di animare la città solo per un breve periodo di tempo. Massimo, Diego e Pino avevano il potere di trasformare la rassegnazione e la frustrazione in speranza e orgoglio per la propria città, ma il prezzo da pagare per questo sembrava essere la precocità della loro scomparsa.
Massimo, che aveva portato sulla scena del teatro di cabaret una nuova forma di comicità napoletana, è morto nel 1994 a soli 38 anni. Diego, che aveva fatto sognare il mondo intero con le sue giocate di calcio, è morto nel 2020 a 60 anni. Pino, che aveva cantato con la sua voce inconfondibile l’amore e la malinconia della propria terra, è morto nel 2015 a 60 anni.
Ma se la loro vita è stata breve, il loro contributo alla cultura e all’immagine di Napoli è stato immenso. Come una supernova che esplode e illumina l’oscurità per un breve momento, Massimo, Diego e Pino hanno illuminato la città con la loro arte e il loro talento, cambiando per sempre la percezione che il mondo aveva di Napoli.
E così, la città che aveva vissuto tante vicissitudini, dalle devastazioni del colera alla violenza del terrorismo, ha trovato nella creatività e nella passione di questi tre grandi cuori un nuovo motivo di orgoglio e di speranza. Una speranza che continua a vivere nel cuore dei napoletani, anche se la nemesi sembra sempre pronta a colpire di nuovo.